fbpx

#Manifesta: la presa di potere del Partito Nazional Fascista

Condividi su facebook
Condividi su linkedin
Condividi su whatsapp
Condividi su twitter
Condividi su email

Nel periodo del dopo guerra si assistette ad un fenomeno controverso e particolare: la legittimazione della presa di potere da parte dei “Fasci di combattimento”, movimento fondato da Benito Mussolini.
Siamo nel 1924, anno importante per l’Italia, perché si svolsero le elezioni che portarono il partito fascista a raggiungere la maggioranza assoluta in parlamento, con 374 rappresentanti.

Nel manifesto analizzato in questa circostanza, possiamo vedere raffigurato un giovane in camicia nera che, sorridente, invita a votare compatti per la lista nazionale. Se ci si sofferma sui particolari, ci si renderà conto che nulla è lasciato al caso; Il ragazzo è circondato da schede elettorali sopra cui è stata indicata, in chiare lettere, la preferenza in corsivo: “Mussolini”.

Mentre il nome è unico e inequivocabile, i simboli rappresentati sono quattro, rispettivamente del partito liberale, dei socialisti, dei popolari e dei fascisti. La scelta di rappresentare tutte le fazioni del parlamento – probabilmente – fu dettata dal fatto che non si era ancora arrivati ad una forma totalitaria di governo, ma ad una fase preliminare della maggioranza parlamentare, priva di reali consensi. Infatti, con la nuova legge elettorale del 1923 proposta da G. Acerbo, si passò da un sistema di rappresentanza proporzionale a un nuovo sistema maggioritario, che prevedeva un premio di maggioranza pari ai 2/3 dei seggi a beneficio della lista più votata, qualora questa superasse il quorum del 25%.

La lista che venne presentata nel 1924 venne comunemente chiamata “listone” poiché figuravano fra i candidati nomi illustri e, come già precedentemente scritto, fu l’unica a raggiugiere il 65% dei seggi, “accaparrandosi” all’incirca la maggioranza assoluta.
Un altro particolare importante del manifesto è rappresentato dai colori: l’aura gialla che circonda la figura del giovane ci fa pensare alla storia del partito, alla sua ascesa al potere e all’ideale che inizialmente rappresentava. Il movimento dei “Fasci di Combattimento” nacque da un frammento del partito socialista e venne appoggiato e finanziato soprattutto dai proprietari terrieri che individuarono nei fasci, lo strumento per abbattere il potere dei sindacati di allora: le leghe rosse, che minacciavano le consuetudini ma soprattutto il sistema di mezzadria ancora presente in gran parte d’Italia.

Sono stati sviluppati degli studi sulla crescente capacità delle società industriali avanzate di poter soddisfare i bisogni materiali dei propri cittadini, tramite la formazione dei loro valori, attitudini e opinioni politiche. Uno in particolare, quello di Ronald Inglehart, che si è concentrato sul “lato della domanda elettorale”, ovvero sul ruolo dei valori, delle attitudini e delle opinioni nell’influenzare le decisioni di voto.

Se riprendiamo la figura del giovane “felice” del nostro manifesto e lo mettiamo a confronto con il manifesto fascista delle elezioni del 1921 e l’ancora presente sentore generale della vittoria mutilata di 5 anni prima, si potrebbe dar adito alla teoria di Inglehart. Ci troveremmo così di fronte ad uno dei primi manifesti inneggianti il voto, ma soprattutto uno dei primi esempi di quello che oggi viene chiaramente riassunto in questa sentenza estratta dal libro di E. Novelli che definisce il fenomeno della personalizzazione e la spettacolarizzazione della politica:
«saper usare in maniera efficace le immagini equivale per un leader o un partito al dominio dell’arte della retorica nell’epoca classica, o alla capacità di sfruttare la forza ipnotica del nuovo medium radiofonico mostrata dal fascismo e dal nazismo». Il confronto con il manifesto delle elezioni del 1921 è un chiaro esempio di come ci sia stato un cambiamento nella comunicazione in campagna elettorale, di come l’attenzione sia stata volutamente spostata dal partito al candidato.

In un’analisi di questo fenomeno a cura di Elisabetta di Giosa, che ha preso in esame i manifesti utilizzati nella campagna del 2008 in Italia, si tende a sottolineare come il sopravvento del linguaggio visivo, ha contribuito a privilegiare la dimensione della personalizzazione, ovvero quel processo che porta alla costruzione del politico come persona con le proprie peculiarità individuali piuttosto che come rappresentante di un partito o di un’ideologia.
Viene quindi reso chiaro che la tendenza di personalizzare l’immagine politica di Mussolini, è dettata soprattutto dalla necessità di “renderlo superiore” all’immagine del partito fascista, che in quel periodo già non godeva di una reputazione positiva in parlamento, infatti di lì a poco sarebbe verificata la secessione dell’Aventino.

L’analisi complessiva dei manifesti considerati, è sicuramente influenzata dalla visione della comunicazione dettata dall’elemento visivo, introdotta con l’invenzione della televisione nel 1927; ciononostante è palese il cambiamento adottato dal partito in ottemperanza agli accadimenti che hanno segnato la storia d’Italia allora e per sempre.

Iscriviti alla nostra Newsletter

Non perderti gli ultimi articoli in esclusiva!